L’eleganza del Rossese di Dolceacqua

Non posso negarlo, anzi lo ammetto: per il Rossese di Dolceacqua ho un vero e proprio debole.
Chi conosce bene la sua vera identità ve lo potrà confermare, trattasi di uno dei vitigni a bacca rossa più interessanti del panorama Italiano, ma anche uno dei più ingiustamente sottovalutati.
Questo non mi meraviglia affatto perchè per apprezzarne le sfumature e la qualità indiscussa bisogna essere davvero delle persone sensibili, più che tecnicamente e culturalmente preparate.

E’proprio per quelli che non lo conoscono che mi sono deciso a scrivere questo articolo; per carità è triste morire senza avere mai bevuto il Pinot Nero in Borgogna, lo Champagne in Champagne, il Nebbiolo in Piemonte, il Sangiovese in Toscana, il Cabernet Sauvignon a Bordeaux o il Syrah nella Valle del Rodano, ma credetemi è altrettanto triste morire senza aver mai bevuto il Rossese di Dolceacqua, di Soldano, di San Biagio della Cima o di Perinaldo, non tutti sanno che proprio a Perinaldo lo storico vigneto “Curli” di attuale proprietà di Giovanna Maccario dell’omonima azienda Maccario Dringeberg, un tempo di proprietà di Emilio Croesi storico sindaco di Perinaldo, veniva definito da Luigi Veronelli come la Romanée Conti italiana e se lo diceva il buon Gino c’è da fidarsi!

La vista mozzafiato della val Nervia
La vista mozzafiato della val Nervia

Ma non ci confondiamo le idee, la DOC è Rossese di Dolceacqua, il vitigno è il Rossese, la DOC prende il nome dal comune, appunto Dolceacqua, dove viene coltivato maggiormente, ma ci sono altri comuni che lo producono in maniera eccellente.
Stiamo parlando di una zona tra le più belle dell’intero Stivale, zona di confine, siamo in provincia di Imperia, nel lembo più estremo della Liguria che confina con la Francia, immaginatevi colline a 500-600 metri sul livello del mare, protette da montagne che arrivano a 2000 metri e li a due passi, sconfinato e affascinante come sempre, il mare.
Considerando uno scenario del genere è impossibile non creare degli autentici gioielli enologici, ma se la mano dell’uomo non è sensibile ancor più della natura stessa che ha dato a queste terre elementi a sufficienza per deliziare i nostri sensi,la qualità
potrebbe non essere così scontata, ma per fortuna i produttori di questa piccola doc questa cosa l’hanno sempre saputa e messa in pratica.

La forma a W delle vallate del Rossese
La forma a W delle vallate del Rossese

Il vitigno viene coltivano su tre vallate disposte come a comporre la lettera “W” che prendono rispettivamente il nome di Val Nervia, Val Verbone, Val Borghetto.
I terreni si possono suddividere in due matrici: la prima composta da arenoscisti che raggiungono una profondità di 1100 metri, banchi di alberesi e marne argillose, la seconda da conglomerati in banchi, sabbie e fortissima inclinazione di strato roccioso.
Questa doc, una delle poche in Italia, oltre ad ammettere alla tipologia classica Rossese di Dolceacqua e la menzione “Superiore”, ha ben delineato e differenziato le zone di produzione, un po’ come accade in Francia, ammettendo di poter indicare in etichetta il nome del cru di appartenenza, alcuni esempi: Beragna, Poggio Pini, Galeae, Curli, Luvaira..Questa la considero una cosa molto importante, perché dimostra che c’è volontà da parte del disciplinare e dei produttori di valorizzare, oltre al vitigno Rossese che è quasi sempre in purezza, o al massimo con un’aggiunta del 5 % di uve locali non aromatiche, soprattutto il terreno dove nasce, con l’intento di dimostrare al consumatore che ci sono grandi differenze tra i vari cru, e saperne cogliere le sfumature risulta
una sfida avvincente.

Alberello Provenzale
Alberello Provenzale

Ma ora piantiamola con questi tecnicismi e veniamo al vero motivo che mi ha spinto a scrivere questo articolo.
Vi avevo parlato del vigneto Curli, un vigneto storico per gli eno-appassionati Italiani, un vino che a parte Luigi Veronelli e Mario Soldati (storico scrittore e regista Italiano, grande appassionato della materia) ben poche altre persone, in epoche lontane, hanno avuto la fortuna di bere, anche perché è da parecchi anni che lo storico vigneto non viene più coltivato.
Dopo aver letto che la delegazione di Milano dell’Associazione Italiana Sommelier stava organizzando una serata dedicata al Rossese, con una lista di otto vini, tra cui il mitico Rossese di Dolceacqua Superiore dello storico vigento Curli, attuale proprietà di Giovanna Maccario, non ho avuto dubbi, dovevo non solo parteciparvi ad ogni costo, ma anche condividere con voi questa autentica emozione.
Non ringrazierò mai abbastanza Armando Castagno, storico ed affermato relatore Ais, sicuramente il più grande esperto che abbiamo in Italia di Rossese, per aver condotto l’intera serata riuscendo in ogni istante a trasmettere una passione incredibile che ci ha letteralmente incollati alla sedia per più di tre ore, in rigoroso silenzio, stregati dalla poesia della sue parole e dai continui rimandi letterari di scrittori che hanno dedicato le loro opere a queste terre, come Francesco Biamonti nato a San Biagio della Cima, leggendo in sala alcuni brani tratti
dalle sue opere più importanti, insomma un’atmosfera magica a cui il vitigno e la zona si prestano in maniera esemplare.

I mitici 8 calici di rossese
I mitici 8 calici di rossese

La serata, doveroso ricordarlo, è stata interamente dedicata ad uno storico produttore della zona, Enzo Guglielmi di Soldano,mancato all’età di 77 anni, pochi giorni prima dell’evento, che si è svolto il 3 Giugno a Milano, al Westin Palace, l’attuale sede dei Corsi e delle serate di degustazione organizzate dalla delegazione Ais del capoluogo Lombardo.
Tutti i vini in degustazione, provenienti da vigneti e vallate diverse, hanno saputo dimostrare, nelle lore rispettive peculiarità, un solo comune denominatore ovvero l’eleganza e la finezza, intesa a 360° enologicamente parlando.
Tanto al naso quanto al palato, il Rossese è un vitigno dalle sfumature sottilissime, un vino che ci chiede espressamente di fermarci anche solo per 5 minuti e di riflettere, ma di fermarci seriamente cercando di dimenticare i nostri problemi e le nostre aspettative perché solo in questo modo riusciremo a scoprire le incredibili sfumature.
Riporterò qui di seguito alcune note di degustazione dei vini che mi hanno maggiormente colpito.

le 8 bottiglie di rossese in degustazione
le 8 bottiglie di rossese in degustazione

Il primo è senza dubbio il Rossese di Dolceacqua Beragna 2013 dell’azienda Kà Mancinè, del simpaticissimo Maurizio Anfosso, con vigne ad alberello provenzale che hanno oltre cent’anni, azienda che ho visitato pochi mesi fa e di cui conto di tornare a parlarvi. Il colore è rosso rubino di buona trasparenza con sfumature “Rossesi” si avverte da subito un’eleganza floreale di profumi davvero impressionante: la rosa, il glicine, la violetta, la peonia, poi note di cosmetici come il rossetto, un naso molto nordico quasi surgelato nei profumi, lento a concedersi, ma un po’ alla volta scopriamo anche sfumature balsamiche di menta, eucalipto e resina di pino, in bocca ha una struttura lieve, è “fresco e sapido”(scusate!) corrispondente
alle note floreali descritte al naso, con buona persistenza e ottima bevibilità, insomma un vino davvero riuscito.

Continuiamo con il Rossese di Dolceacqua Superiore Curli 2013 Maccario-Dringenberg, ovviamente cercherò di non farmi influenzare dalla sua storia e dal suo prestigio, ma il vino già dal bicchiere si distingue per un colore rubino smagliante, vivace, con buona trasparenza.
Il naso è incantevole, pura eleganza, inzialmente fruttato di frutti di bosco, soprattutto gelatina di lamponi, continua con un floreale particolarissimo, iris e glicine, con l’ossigenazione erbe aromatiche, in evidenza la salvia e dolci note di zucchero a velo. Il palato è intenso, ha un impatto maggiore rispetto al precendete vino, ma non pecca minimamente in eleganza, il tannino è pregevole per cremosità e freschezza e rimane in bocca un piacevole finale di liquirizia.

Il terzo vino di cui vi parlerò è un’autentico “vin de garage” come direbbero i cugini d’oltralpe, ovvero un vino che difficilmente si riesce a trovare anche a Dolceacqua,
il produttore è Antonio Perrino “Testalonga”, il suo Rosssese di Dolceacqua 2012 è prodotto in quantità molto limitate, è un vino di culto nella zona che nelle annate giuste,
anche dopo decenni ha saputo regalare autentiche emozioni a chi ha avuto la fortuna di degustarlo.
Il colore è rubino di buona trasparenza, riflessi leggermente granato, un naso estremamente fine con note sottili di caramella al lampone, frutti di bosco, floreale di rosa canina, una freschissima nota balsamica ti invoglia ad annusarlo ancora ed ancora, il palato ha un tannino elegante, fresco, buona sapidità con uno stupendo finale di caramella al rabrbaro.

Veniamo ora al Rossese di Dolceacqua Superiore Poggio Pini 2012 di Tenuta Anfosso un vino che ha un’identità diversa, il terroir da dove proviene dona al vino delle note
più cupe, cominciando dal colore che ha una concentrazione maggiore, rubino più scuro, ma di buona trasparenza, il naso si apre su mora di rovo, mora di gelso, mirtillo,
patè di olive nere, pomodoro secco, pepe nero insomma sensazioni più mediteranee. Il palato è molto più pieno, ha una corrispondeza legata all’acidità dei frutti descritti ed è sapido con una lunga persistenza.

Il meraviglioso colore del Rossese di Dolceacqua
Il meraviglioso colore del Rossese di Dolceacqua

Dulcis in fundo, il Rossese di Dolceacqua Bricco Arcagna 2012 dell’azienda Terre Bianche del buon Filippo Rondelli, il vino a mio avviso più sfaccettato e poliedrico
della serata. Grazie anche ad un maggior affinamento, è uno dei pochi vini in zona ad aver affrontato un affinamento in carati di rovere da 225 litri, il Rossese è un vitigno che usualmente predilige l’acciaio perché ha dei profumi e una struttura così lieve che l’uso del legno potrebbe coprire gran partedelle sfumature che lo caratterizzano, ma allo stesso tempo, se ben utilizzato, può dare quel tocco di complessità in più che può elevare il vino ad un livello superiore.
Ma veniamo al vino, il colore rubino è in questo caso più scuro e profondo, vivace, ma comunque di buona trasparenza, il naso è incredibilmente balsamico con una nota di menta davvero evidente, nitida, fresca, si sente molto anche la salvia, il cardamomo ed un’elegantissima nota dolce sul finale di zucchero filato. In bocca è succoso, tannino levigato fresco, molto elegante con una persistenza davvero lunga, finale balsamico che lascia la bocca fresca e invoglia a berne ancora ed ancora.

Gli altri 3 vini che ho degustato sono :
-Rossese di dolceacqua Numero Uno 2012 Az.Agr. Faroi di Roberto Rondelli
-Rossese di Dolceacqua Superiore 2012 Luigi Caldi
-Rossese di Dolceacqua Superiore 2012 Du Nemu/Luca Dall’Orto

Sono vini tecnicamente ben fatti, forse un filo meno rappresentativi di quelle che sono le caratteristiche principali del vitigno, ovvero la classe, l’eleganza olfattiva giocata su note sottili che si rivelano poca alla volta, un corpo moderato che lo rende particolarmente adatto all’abbinamento gastronomico nelle più svariate ricette, dal coniglio alla ligure per restare in zona, a primi piatti con ragù di verdure, carni bianche anche in umido, roast-beef, formaggi di media stagionatura, e come giustamente suggeriva Armando, anche su un bel piatto di trofie al pesto, solitamente abbinate al vino Pigato, un’altra varietà tipica della Liguria di ponente ma a bacca bianca, il tutto riuscendo a mantenere una bevibilità che ogni vino vino rosso al mondo dovrebbe avere.

Spero con tutto il cuore di avervi trasmesso almeno il 10 % della passione che Armando Castagno è riuscito a trasmettere a noi partecipanti della serata, ma la vera
emozione la proverete solo una volta tornati a casa dalla vostra enoteca di fiducia, già vi vedo, assorti ed incuriositi, con lo sguardo attento mentre il vostro fedele
cavatappi sta per stappare una bottiglia di questo grande vino italiano, a questo punto cos’altro dire se non: “alla vostra salute!… cari lettori”!

Pubblicato da frescoesapido

Sommelier Ais dal 2011, in tandem con Danila Atzeni, fotografa professionista e sua compagna, autrice, tra l’altro, degli scatti dei suoi articoli, è un grande appassionato per la materia tanto cara a Dio Bacco ed ama la purezza delle materie prime in cucina: proprio l’attività tra i fornelli l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo svariati master di approfondimento sui più importanti territori vitivinicoli al mondo, nel 2021 ha ricevuto il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino. Collabora, altresì, anche con altre note riviste di settore quali Lavinium, L'Acquabuona e Travel Wine Magazine.

2 Risposte a “L’eleganza del Rossese di Dolceacqua”

  1. Io lo coscono, lo coscono eccome. Eccome non potrei conoscerlo che sono nato e cresciuto in queste terre. Avevamo anche delle vigne in Veonixi che e8 meglio non ci pensi se no mi viene il magone. Vino di grandi fatiche su terre aride e avare, su fasce strette strappate alle pendenze appese. Ogni famiglia una volta aveva la sua vignetta, e la cantina e il torchio. A me la cantina, quella a volta e8 rimasta, e anche il torchio che pif9 o meno ha cent’anni e una storia lunga alle spalle.

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