Missione impossibile: abbinamento carciofi-vino bianco?..non per me!

Rileggendo un capitolo del libro di testo che ho studiato per diventare Sommelier, che riguarda l’abbinamento cibo/vino, ho deciso di sfatare il mito che alcuni alimenti come ad esempio il carciofo sono complicati da abbinare ad un vino in generale, figuriamoci ad un bianco secco come in questo caso.

Uno dei principi più importanti nella filosofia dell’abbinamento è quello di non sommare mai le durezze. Ad esempio, nel carciofo è implicita una certa tendenza amarognola, questa è considerata una durezza, per lo più derivata più dalle foglie che dal cuore, che al contrario conserva una certa tendenza dolce, soprattutto nelle “mammole”, tipici carciofi romani a foglia tonda senza spine.
Ho notato inoltre che questi carciofi sono la gioia delle cassiere del supermercato che in questo caso, almeno per una volta, eviteranno di ridurre le loro mani ad uno scolapasta che brucerà per l’eternità.
Nel vino bianco ciò che possiamo considerare “durezza” è soprattutto l’acidità, ovvero quella sensazione che ad esempio si avverte bevendo una limonata fresca. Questa sensazione, nei vini bianchi, io la chiamo ancora di salvezza del palato, non voglio perdermi in tecnicismi, ma è tutto ciò che rende il vino bianco fresco e piacevole, “dissetante” insomma e che induce in tentazione, ovvero il fatto di poterne bere con piacere un bicchiere dopo l’altro, mantenendo sempre la bocca fresca e pulita con una piacevole sensazione agrumata e ammandorlata e mai, dico mai, stucchevole e dolciastra, sensazione quest’ultima, che almeno per quanto mi riguarda, non mi permette nemmeno di finire il goccio di vino che mi versano nel bicchiere per stabilire se sappia o meno di tappo.
Quindi la missione impossibile in questo articolo sarà proprio questa: esiste un vino bianco secco che sarà in grado di domare la tendenza amarognola del carciofo, mantenendo la giusta dose di freschezza ed acidità necessarie a rendere l’abbinamento piacevole ed equilibrato, lasciando la bocca fresca e pulita?
Ebbene si! L’ho trovato. Faremo un pò di chilometri, ma ne varrà la pena.
Partenza Milano Malpensa, arrivo Aeroporto di Napoli-Capodichino, 37 km. di auto, risalendo brevemente la Campania e si arriva a Montesarchio, provincia di Benevento ai piedi del Taburno. Questo imponente massiccio calcareo isolato dell’Appennino campano è un distretto vitivinicolo particolarmente indicato per la coltivazione di questo antico vitigno che sarà l’asso nella manica per risolvere la nostra missione impossibile, ovvero la Falanghina.

Falanghina Bonea 2011 Masseria Frattasi
Falanghina Bonea 2011 Masseria Frattasi

L’azienda si chiama Masseria Frattasi e prende il nome dall’antica masseria perfettamente conservata, che risale al 1700, pensate che le uve di questo vino provengono da vigne secolari di proprietà della famiglia Cecere Clemente.
Negli anni cinquanta del secolo scorso il titolare della masseria, don Antonio Cecere salvò la Falanghina che sopravvisse solo ai piedi del Taburno, fra Montesarchio e Bonea, quest’ultimo comune da proprio il nome al vino che degusteremo, pensate che ancora oggi in tutto il Sannio, come si legge nel sito, dire Falanghina di Bonea significa parlare della migliore e più rinomata qualità di questo vitigno, che comunque viene coltivato davvero in larga scala in tutta la Campania e purtroppo tanta produzione talvolta corrisponde a tanta mediocrità. Questo riguarda anche tanti altri vitigni italiani, come ad esempio il Primitivo, la Barbera, il Sangiovese… ma non è certo il caso della Falanghina del Taburno doc “Bonea” 2011, da vigne secolari, coltivate nel comune di Bonea e Varpni, da terreni con depositi piroclastici e calcarei dolomitici.
Le uve subiscono una macerazione pellicolare prefermentativa a freddo. Segue la pressatura soffice ed una
fermentazione alcolica a 16°, oltre ad una successiva fermentazione malolattica parziale. Affinamento
in acciaio per tre mesi e successivo riposo in bottiglia.
Nel mio caso l’affinamento si è protratto per due anni, l’ho conservato al fresco della mia cantina per tutto questo tempo, per far si che il vino potesse sviluppare alcuni sentori e sensazioni gustative a mio avviso intriganti e che, nel caso della nella nostra missione impossibile, risulteranno determinanti per il giusto equilibrio dell’abbinamento.

Il Bellissimo colore
Il Bellissimo colore

Il colore del mio campione degustato è giallo dorato, ancora vivace e di estrema lucentezza.
Lacrime fitte e regolari, facendolo roteare nel bicchiere. Buona consistenza. Servito ad una temperatura di 12° , il naso risulta davvero intenso, inondato letteralmente da sentori fruttati maturi di mango, banana, melone estivo che si contrappongono magistralmente ad un’ancora fresca sensazione agrumata di limone e floreale di mimosa, come inizio non c’è male, estremo fascino ed eleganza. Con la giusta ossigenazione ed un lieve aumento di temperatura affiorano i primi sentori minerali salmastri e iodati, un accenno di cioccolato bianco e vaniglia dolce, ed una fresca sensazione mentolata. Insomma abbiamo a disposizione un ventaglio odoroso davvero sfaccettato che, cosa ancora più importante, evolve nel bicchiere minuto dopo minuto. Questi sono i vini che amo.
Il palato è cremoso, rotondo e pieno, la sensazione pseudocalorica è notevole, 13,5 % vol., ma bisogna riconoscere che la corrispondenza fruttata matura prima, la nota vanigliata al centro e la piacevole sferzata di acidità finale, contribuiscono a creare un equilibrio gustativo di pregevole livello.
Ciò che colpisce maggiormente, oltre alla pulizia gustativa a livello alcolico, è proprio la persistenza, che pare non voglia terminare mai, la sapidità è notevole ed è in leggero vantaggio sulla freschezza, causa forse il prolungato affinamento ma che in questo caso ci tornerà utile per la nostra missione impossibile.

Eccola dunque, l’abbinamento che vi proporrò per far capire le potenzialità di abbinamento di questo vino saranno rese ancor più complicate dalla presenza del pomodori ciliegino oltre ai carciofi, che pensate aggiungeranno oltre alla già citata tendenza amarognola, la giusta dose di acidità. Ma non vi preoccupate, il tutto sarà attenuato dal guanciale di Amatrice che donerà al piatto una bella dose di grassezza e tendenza dolce, quest’ultima presente anche nella mezza manica di Gragnano oltre al pecorino romano.
Il piatto a questo punto si chiamerà :
“Mezze maniche di Gragnano con guanciale di Amatrice, pomodori ciliegino ragusani, carciofi mammole e pecorino della Capitale.”
La ricetta è quanto di più semplice possa esistere a questo mondo, le dosi per due persone sono:
-200 grammi di pasta, 100 gr. di guanciale di Amatrice, 14 pomodorini ciliegino siciliani, due carciofi mammole, 20 grammi di pecorino romano, pepe e sale q.b.
Procedimento:
Far sfrigolare il guanciale in padella antiaderente tagliandolo a cubetti stretti e lunghi, a fiamma bassa, fino a renderlo croccante. Aggiungere i cuori delle mammole tagliati a spicchi, preoccupandosi di lasciare almeno mezzo centimetro di foglie di carciofo, sapientemente mondato, per conservare la parte aromatica e leggermente erbacea. Cuocere per un massimo di 3-4 minuti, facendoli leggermente tostare, a questo punto sfumare con un quarto di bicchiere di Bonea, lasciando evaporare. Aggiungere i ciliegino tagliati a metà e continuare la cottura mescolando di tanto in tanto per una decina di minuti, a fiamma vivace ma con il coperchio, lasciandolo un po’ aperto sulla padella.
Scolare la pasta al dente, versarla nel sugo e aggiungere due mestoli d’acqua di cottura, mantecando con un goccio d’olio e il pecorino a fiamma vivace.

Paccheri di Gragnano con guanciale di Amatrice, pomodorini, carciofi mammole e pecorino romano
Paccheri di Gragnano con guanciale di Amatrice, pomodorini e pecorino romano

L’abbinamento è un capolavoro di equilibrio, considerando le sensazioni gustative. La componente glicerica accentuata anche dall’invecchiamento del vino se vogliamo, dona grande morbidezza e rotondità, funge da vera e propria ancora di salvezza una volta che il nostro palato si scontra con le durezze del piatto, ovvero carciofo e pomodoro. Inoltre, la sapidità del pecorino e del guanciale di Amatrice, che sono la vera causa della persistenza del piatto, vengono attenuati magistralmente dalla freschezza e acidità del vino che sono comunque ancora presenti e che fanno di questo vino un perfetto esempio di equilibrio gustativo, difficilmente riscontrabile in altri vini bianchi del sud Italia, soprattutto dopo due anni di invecchiamento, dove troppe volte è riscontrabile una pregevole sapidità ma manca proprio la freschezza, caratteristiche che in un vino bianco non devono mai mancare, non mi stuferò mai di ripeterlo.

Spero davvero di avervi stupito con questo articolo, la passione per l’abbinamento enogastronomico è qualcosa di incredibile, ma non deve mai ridursi ad un elenco di regole statiche e noiose, la sperimentazione è sempre alla base di tutto a meno che non impazziate completamente e vi mettiate ad abbinare lo Champagne nature con un dolce al caffè, in quel caso si, lo riconosco siete pronti ad andare in uno show televisivo!

A presto ragazzi, buon appetito.

Pubblicato da frescoesapido

Sommelier Ais dal 2011, in tandem con Danila Atzeni, fotografa professionista e sua compagna, autrice, tra l’altro, degli scatti dei suoi articoli, è un grande appassionato per la materia tanto cara a Dio Bacco ed ama la purezza delle materie prime in cucina: proprio l’attività tra i fornelli l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo svariati master di approfondimento sui più importanti territori vitivinicoli al mondo, nel 2021 ha ricevuto il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino. Collabora, altresì, anche con altre note riviste di settore quali Lavinium, L'Acquabuona e Travel Wine Magazine.

2 Risposte a “Missione impossibile: abbinamento carciofi-vino bianco?..non per me!”

  1. Negli ultimi tempi ho sviluppato una particolare attrazione per i vini bianchi del sud ed in particolarei Abruzzesii, Campani e Siculi. Grandi Vitigni Trebbiano, Pecorino, Carricante, Fiano,Falanghina e tanti altri, qualche volta in versioni un pò forse troppo muscolose tipo Chardonnay Marina Cvetic 2010, ma comunque apprezzate anche queste e pensando al tuo abbinamento che per quel poco che ci capisco penso sia perfetto (anche il colore si trova ahahah) mi viene in mente un Siciliano bevuto in compagnia di amici, premessa che lo abbiamo seccato dopo un Manna di Franz Hass… Cataratto riserva shara Castellucci Miano 2012, conosci? Cresce sull’Etna a piú di 1000 metri sul livello del mare!!Articolo ben fatto come sempre complimenti Andrea!!! Grazie e continuate cosí ciao

    1. Ciao Gabriele, negli anni ho imparato una cosa: non esiste un vitigno italiano che se vinificato in maniera corretta, da mani esperte e appassionate rispettose del terroir e delle caratteristiche intrinseche del vitigno stesso sopratutto nella scelta dell’affinamento non dia ottimi risultati. Poi è ovvio che il Nebbiolo ad alti livelli dia risultati maggiori che la Freisa sempre ad alti livelli, stesso discorso per nei bianchi ad esempio il Riesling o il Timorasso nei confronti della Falanghina o della Passerina, non c’è storia è ovvio, ma ogni vino va sempre contestualizzato a seconda dei momenti, dell’atmosfera, della compagnia e del piatto. Quindi evviva i vitigni italiani tutti, e spero che lo studio e la dedizione che riserviamo a questo fantastico mondo ci porti sempre a conoscerne dei nuovi. Il Catarratto che hai citato non lo conosco, onestamente in Sicilia trovo più interessante il Carricante, ma è questione di gusti se ti capita assaggia quello di Salvatore Graci Etna Bianco d.o.c. “Arcurìa” ai piedi dell’Etna, vino sempre dal profilo elegante, grande bevibilità, austero, complesso e sfaccettato come anche il suo Nerello Mascalese dal vino base al “quota 600” il suo top. Rimarrai a bocca aperta. A presto e grazie sempre per i puntali complimenti.

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